“Johnny Stecchino” di Roberto Benigni

(Italia, 1991)

Scritta insieme a Vincenzo Cerami, diretta e interpretata da Roberto Benigni, questa pellicola è una commedia che incarna perfettamente lo spirito irriverente e geniale del suo creatore. Con la sua consueta maestria, il cineasta toscano confeziona una storia che mescola satira, umorismo surreale e critica sociale, regalando al pubblico un film che diverte e fa riflettere, anche a distanza di decenni.

La trama ruota attorno a Dante, un ingenuo e bonario autista di scuolabus con una straordinaria somiglianza a Johnny Stecchino, un boss mafioso “pentito” e in fuga. La doppia identità di Dante lo trascina in una serie di situazioni esilaranti e pericolose, creando un vortice di equivoci che rappresenta il cuore comico del film.

Benigni, nella doppia veste di regista e protagonista, brilla con la sua interpretazione di Dante, caratterizzato da una dolce ingenuità e una comicità fisica che ricordano i grandi maestri del passato, come Charlie Chaplin, Buster Keaton e Groucho Marx (quest’ultimo dichiaratamente citato nella sequenza del falso specchio nella credenza in cucina, che richiama quella straordinaria interpretata da Groucho e suo fratello Harpo Marx ne “La guerra lampo dei fratelli Marx” del 1933). La sua capacità di passare dall’umorismo slapstick a momenti di sottile satira sociale è ciò che rende “Johnny Stecchino” un’opera unica nel panorama cinematografico italiano.

Accanto a Benigni, troviamo Nicoletta Braschi nel ruolo di Maria, la donna che architetta il piano per salvare il vero Johnny Stecchino utilizzando Dante come esca. La chimica tra Benigni e Braschi, non solo sullo schermo ma anche nella vita reale, aggiunge una dimensione di autenticità e tenerezza alla loro interazione.

Il film è ricco di scene memorabili e battute che sono entrate nell’immaginario collettivo italiano, come il famoso monologo di Dante sul “problema” che affligge Palermo e la Sicilia (ma la parola “mafia” non viene mai pronunciata), quello del costo delle banane nella città siciliana, o la sequenza in cui lui imita una scimmia. Ma oltre alla commedia, “Johnny Stecchino” offre anche una critica non troppo sottile alla società italiana dell’epoca, in particolare ai temi della criminalità organizzata e della corruzione. Benigni utilizza l’umorismo come strumento per denunciare e riflettere su queste problematiche, senza mai perdere di vista l’intrattenimento.

La colonna sonora di Evan Lurie accompagna perfettamente le vicende del film, sottolineando i momenti comici e quelli più riflessivi con un tocco musicale che arricchisce ulteriormente l’atmosfera surreale della pellicola.

“Johnny Stecchino” è un film che ha saputo conquistare il pubblico con la sua comicità irresistibile e il suo messaggio profondo, dimostrando ancora una volta il talento e la versatilità di Roberto Benigni come attore, regista e sceneggiatore. È una commedia che, a distanza di anni, continua a far ridere e a far pensare, confermandosi come un classico del cinema italiano.

Ridere non vuol dire necessariamente non pensare. La lungimiranza e l’avanguardia di Benigni e Cerami nello scrivere la sceneggiatura è la Storia che ce le conferma: solo qualche mese dopo l’uscita nelle nostre sale del film, il 23 maggio del 1992, cinquanta metri dell’autostrada che collega Palermo all’aeroporto di Punta Raisi, arteria viaria che appare più di una volta nel film, vennero fatti saltare in aria da Cosa nostra per uccidere il giudice Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e i tre uomini della scorta: Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.

Il 19 luglio dello stesso anno, in via D’Amelio, una Fiat 126 ricolma di tritolo venne fatta esplodere uccidendo il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.

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“Pinocchio” di Matteo Garrone

(Italia/Francia/Inghilterra, 2019)

Uno dei nostri migliori – e più internazionali – attuali registi porta sullo schermo, dopo la Divina Commedia, forse l’opera letteraria italiana più famosa al mondo. Così famosa da diventare molto difficile da adattare sia per il cinema che per il teatro.

Fra le numerose trasposizioni poco riuscite, oltre a quella di Benigni, c’è anche quella fatta da Walt Disney nel 1940 che, rimanendo una vera e propria opera d’arte a livello di disegni, come sceneggiatura presenta numerose lacune.

Il primo regista che riesce a portare sullo schermo – si tratta però di quello piccolo… – l’opera di Carlo Lorenzini alias Carlo Collodi, rimanendo fedele al testo e centrando l’anima della storia è stato Luigi Comencini che nel 1972 realizza lo splendido sceneggiato televisivo “Le avventure di Pinocchio”.

E proprio alle atmosfere create da Comencini si ispira quest’opera di Garrone, scritta assieme a Massimo Ceccherini. Il volto di Geppetto è quello di Roberto Benigni che da vero uomo dello spettacolo – è giusto riconoscerlo – accetta una sfida assai insidiosa dopo il flop del suo di “Pinocchio”. Ma Benigni ci regala un Geppetto molto fedele al libro, davvero da attore maturo.

Il volto di Pinocchio è quello del giovane Federico Ielapi, davvero molto bravo e truccato superbamente da burattino. Completano il cast un grande Gigi Proietti nei panni di Mangiafuoco, Rocco Papaleo e lo stesso Ceccherini in quelli del Gatto e della Volpe, e Marine Vacth in quello della Fata Turchina adulta. Da ricordare anche l’interpretazione del bravo Teco Celio nei panni del Giudice Gorilla.

Con una bellissima fotografia diretta da Nicolaj Brüel, Garrone ci racconta magistralmente una storia che conosciamo bene ma che non ci stanchiamo mai di rivivere.

Garrone – come dopo “Il racconto dei racconti”, sempre tratto da una grande e storica opera letteraria italiana – ci porta belle notizie per il nostro cinema.

“Il minestrone” di Sergio Citti

(Italia, 1981)

Questo film, prodotto dalla RAI e scritto dalla coppia Sergio Citti e Vincenzo Cerami, è stato presentato al Festival di Berlino nel 1981, ma è stato trasmesso dalla nostra rete nazionale solo nel 1985, diviso in tre puntate.

Negli edonistici anni Ottanta la storia dei “morti de fame” Giovannino (Ninetto Davoli) e Francesco (Franco Citti), che si accodano al Maestro (Roberto Benigni) genio del mangiare a quattro ganasce nelle trattorie per poi scappare (fare il “vento”) prima di pagare il conto, sembrava vecchia e obsoleta.

Ma oggi, purtroppo, è pesantemente tornata attuale.

Con un cast di primo livello, tra cui spicca Giorgio Gaber (che nella scena finale è d’applauso) e con quegli elemeti surreali tipici della cinematografia di Citti, “Il minestrone” rimane una delle migliori commedie all’italiana degli anni Ottanta.

Per la chicca: Giampiero Galeazzi interpreta se stesso, telecronista straordinariamente coinvolgente, nel sogno in cui Giovannino immagina di partecipare alle Olimpiadi nella categoria “mangiatori di spaghetti” …e non aggiungo altro.

“Non ci resta che piangere” di Roberto Benigni e Massimo Troisi

(1984, Italia)

Mario (Troisi) e Saverio (Benigni), rispettivamente bidello (come si chiamava allora) e insegnate di una piccola scuola elementare nella provincia toscana, si ritrovano magicamente a Frittole nel 1492.

Preoccupato per la sorte della sorella Gabriellina, sedotta e abbandonata da un americano sette anni prima, Saverio vuole approfittare della situazione e correre a Palos per fermare Cristoforo Colombo.

Ma la trama, anche se originale, non è così importante rispetto alla genialità comica dei due protagonisti che trasformano ogni situazione in una vera e irresistibile gag. La spiegazione del gioco della scopa e del termometro a Leonardo da Vinci (un grande Paolo Bonacelli) continua a farmi piangere dal ridere. Una delle migliori testimonianze del genio comico italiano.

Non è un caso che nel decennio successivo, con carriere cinematografiche (purtroppo!) separate, tutti e due siano arrivati alla soglia degli Oscar.