“Harper” di Jack Smight

(USA, 1966)

Il 1966 ha regalato agli amanti del cinema noir un piccolo gioiello intitolato Harper, un film diretto con mano sapiente da Jack Smight e reso indimenticabile dalla straordinaria interpretazione di Paul Newman. In un’epoca in cui il cinema era popolato da eroi monolitici e investigatori dai metodi ortodossi, Harper emerge come un’opera che sfida le convenzioni del genere, portando sul grande schermo un detective dai tratti cinici, disillusi, ma anche incredibilmente affascinanti.

Il film è un adattamento del romanzo “The Moving Target” di Ross Macdonald, e vede Newman vestire i panni di Lew Harper, un investigatore privato che sembra uscito direttamente dalle pagine di Chandler o Hammett, ma con quel tocco di modernità che solo Newman poteva dare. Harper è un personaggio complesso, un uomo la cui vita personale è in rovina, ma che riesce a trovare un equilibrio instabile attraverso il suo lavoro, fatto di casi intricati e relazioni ambigue.

La trama segue Harper mentre indaga sulla scomparsa di un ricco magnate, un caso che lo porterà a confrontarsi con una Los Angeles decadente, piena di personaggi ambigui e situazioni al limite del legale. È qui che il talento di Smight emerge con prepotenza, riuscendo a creare un’atmosfera densa e opprimente, in cui ogni scena è intrisa di una tensione sottile ma persistente. La regia di Smight, pur non avendo il tocco autoriale dei più grandi, è funzionale e incisiva, capace di tenere lo spettatore costantemente sul filo del rasoio.

Ma il vero cuore pulsante di Harper è Paul Newman. Con la sua interpretazione, l’attore riesce a rendere il personaggio di Lew Harper non solo credibile, ma anche profondamente umano. Newman gioca con le sfumature, passando con naturalezza dal sarcasmo al dolore, dalla determinazione alla vulnerabilità. È una performance che cattura l’essenza stessa del detective noir: un uomo che non si ferma davanti a nulla, ma che è anche consapevole delle proprie fragilità.

Il cast di supporto non è da meno, con una brillante Lauren Bacall nel ruolo della moglie del magnate scomparso e un’ottima Janet Leigh che interpreta la moglie di Harper, una presenza costante che ci ricorda il lato più oscuro e malinconico della vita del protagonista.

Harper non è solo un film noir, ma anche un ritratto di un’epoca e di una città. La Los Angeles degli anni ’60 è rappresentata come una metropoli in cui il sogno americano sembra essersi infranto, lasciando spazio solo a illusioni e corruzione. Smight, attraverso la lente di Harper, ci mostra un mondo in cui il confine tra giusto e sbagliato è sempre più sfumato, e in cui i personaggi sono costretti a navigare in acque torbide, alla ricerca di una verità che, forse, non esiste.

In conclusione, Harper è un film che merita di essere riscoperto, non solo per la straordinaria interpretazione di Paul Newman, ma anche per la sua capacità di catturare lo spirito di un genere e di un’epoca. È un’opera che, nonostante i suoi quasi sessant’anni, riesce ancora a coinvolgere e a far riflettere, dimostrando come il noir, quando fatto con intelligenza e passione, possa ancora parlare al cuore e alla mente dello spettatore moderno.

Nel 1975 Stuart Rosenberg dirige il sequel “Detective Harper: acqua alla gola”, sempre tratto da un romanzo di Macdonald e sempre con un grande Paul Newman nei panni del protagonista.

Ascolta gratuitamente il podcast con questa e altre recensioni su SpotifyAmazon Music e YouTube.

“Fiore di cactus” di Gene Saks

(USA, 1969)

L’8 dicembre del 1965 debutta a Broadway la commedia “Fiore di cactus” interpretata da Lauren Bacall e Barry Nelson. Il successo è notevole e lo spettacolo va in scena per oltre 1200 repliche. L’autore Abe Burrows ha adattato “Fleur de cactus”, una commedia leggera scritta dai francesi Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy, e andata in scena per la prima volta a Parigi nel dicembre del 1964.

Nel cast originale di quella prima rappresentazione ad impersonare il protagonista maschile Julien è Jean Poiret, che qualche anno dopo firmerà ed interpreterà in teatro assieme a Michel Serrault una commedia/farsa che riscuoterà un successo planetario: “La cage aux folles”, che nel 1978 Eduard Molinaro porterà per la prima volta sul grande schermo nel film “Il vizietto“, con lo stesso Serrault ma con al posto di Poiret uno stratosferico Ugo Tognazzi.

Tornando alla commedia di Burrows, visto il successo in teatro, Hollywood decide di portarla sul grande schermo ed affida la regia a un grande esperto del genere: Gene Saks, prima attore e poi regista teatrale e cinematografico al quale, per esempio, si deve la regia di “A piedi nudi nel parco” con Jane Fonda e Robert Redford, o di “La strana coppia” con Jack Lemmon e Walter Matthau.

Il ruolo del dentista sornione e scapolo impenitente Julian Winston viene affidato al grande Matthau, mentre quello della sua efficientissima segretaria Stephanie Dickinson sancisce il ritorno a Hollywood di Ingrid Bergman, che dagli anni Quaranta si era trasferita in Europa. Ad interpretare Toni Simmons è Goldie Hawn che vincerà l’Oscar come miglior attrice non protagonista. Nel cast anche Jack Weston, ottimo caratterista di Hollywood.

L’insolito triangolo amoroso fra Julian, Toni e Stephanie è uno dei più famosi e divertenti del cinema americano degli anni Sessanta e rappresenta, forse un pò ingenuamente, il conflitto generazionale che in quegli anni infiamma la società in tutto l’Occidente.

D’altronde l’intenzione di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy era solo quella di scrivere una pièce leggera senza affrontare nessun problema fondamentale nella vita di un essere umano, con il solo scopo di far divertire allegramente il pubblico. Ma a distanza di tanti anni “Fiore di cactus” è una pellicola ancora godibile fino all’ultima scena, grazie soprattutto alla bravura dei suoi due grandi protagonisti: Bergman e Matthau.

A doppiare Matthau nella nostra versione è un bravissimo Renzo Palmer, Gemma Griarotti doppia splendidamente la Bergman, mentre Mario Maranzana dona in maniera irresistibile la voce a Weston.

Lauren Bacall

A distanza di poche ore il cinema ha subito un altro triste lutto.

Dopo la scomparsa – davvero dolorosa – di Robin Williams, se ne è andata ieri anche Lauren Bacall, grande icona del cinema in bianco e nero hollywoodiano, e non solo.

Se è diventata famosa per il suo sguardo (il suo soprannome in America era appunto “The Eye”) e per essere stata l’ultima moglie di Humprey Bogart, Lauren Bacall ha saputo “invecchiare” con grande stile e soprattutto bellezza.

La sua carriere cinematografica, infatti, è stata interrotta ieri solo dalla morte. Dal 1944, anno in cui apparve sul grande schermo in “Acque del Sud” accanto a Bogart, non ha mai smesso di scegliere oculatamente produzioni di successo e di qualità.

Sempre accanto a suo marito gira il noir per eccellenza “Il grande sonno” diretto da Howard Hawks nel 1946. Nel 1953 arriva il successo planetario – per la prima volta lontano dal suo Bogart – con “Come sposare un milionario” di Jean Negulesco, che la consacra dea della bellezza assieme a Marilyn Monroe e Betty Grable.

Ma gli anni passano e il cinema – soprattutto quello di qualità – cambia. E così la Bacall sceglie ruoli sempre più affini a se stessa e al proprio stile come in “Detective’s Story” diretto da Jack Smight nel 1966, un altro dei grandi noir hollywoodiani, in cui recita accanto a Paul Newman.

Nel 1974 fa parte del cast stellare di “Assassinio sull’Orient Express” diretto da Sidney Lumet; mentre nel 1990 è l’agente letterario di Paul Sheldon (James Caan) nel terrificante “Misery non deve morire” di Rob Reiner, tratto dall’opera del Re Stephen King.

Il 1994 è l’anno in cui viene diretta da Robert Altman in “Prêt-à-porter” e dieci anni dopo, nella versione inglese, dona la sua voce alla Strega delle Terre Desolate ne “Il castello errante di Howl” del maestro Hayao Miyazaki .

Nel 2003 è nel cupo “Dogville” di Lars von Trier, accanto a Nicole Kidman e Paul Bettany; e pochi mesi fa è andata in onda una puntata de “I Griffin” in cui presta la voce alla mamma di un vecchio amico di Peter Griffin, che lo stesso seduce.

Insomma, Lauren Bacall è stata una delle rare icone cinematografiche che è passata con eleganza e bravura attraverso numerosi decenni rimanendo fedele alla propria professionalità e, soprattutto, alla propria bellezza.

Di fatto una gran donna e una grande artista di sconfinata classe che ci mancherà molto.