“Il condominio dei cuori infranti” di Samuel Benchetrit

(Francia, 2015)

Samuel Benchetrit, con “Il condominio dei cuori infranti”, ci consegna una pellicola che sembra sfuggire ai canoni del cinema moderno, per avvicinarsi a un racconto intimista e malinconico, dove il vero protagonista è l’umanità nella sua disarmante quotidianità. Questo film del 2015, tratto dalla prima raccolta di racconti “Cronache dall’asfalto” che lo stesso Benchetrit ha pubblicato nel 2005, è ambientato in un anonimo complesso residenziale parigino e potrebbe sembrare, a prima vista, un’ordinaria esplorazione della vita urbana. Eppure, sotto la superficie, si nasconde una sottile riflessione sul senso di appartenenza e sull’isolamento che caratterizzano la nostra epoca.

Nella trama, fatta di incontri e sguardi incrociati, emergono: il solitario Sterkowitz (Gustave Kervern) che sembra vivere ai margini della società, intrappolato in una routine autoreferenziale e priva di scosse. Con lui, una donna dal passato ingombrante, Jeanne Meyer (interpretata da una bravissima Isabelle Huppert) e il suo giovanissimo dirimpettaio Charly (Jules Benchetrit, figlio dello stesso regista e di Marie Trintignant); un astronauta americano che ha il volto di Michael Pitt, che si trova bloccato sul tetto del condominio e viene ospitato da Hamida (Tassadit Mandi), un’anziana magrebina giunta a Parigi negli anni Sessanta e rimasta sola da quando suo figlio è finito in carcere. E poi c’è l’infermiera (Valeria Bruni Tedeschi) che, nel posto più improbabile, sembra poter illuminare la vita di Sterkowitz.

Questi personaggi, ciascuno con il proprio bagaglio di solitudine e desiderio di connessione, si muovono come ombre nella grande scenografia della vita urbana, cercando, inconsapevolmente, un’uscita dal proprio isolamento.

Benchetrit ci offre una regia che è allo stesso tempo attenta e discreta, capace di catturare i dettagli più insignificanti e trasformarli in simboli di una condizione umana universale. Il film si sviluppa come un mosaico di piccoli momenti di vita, dove anche il gesto più banale può diventare un atto di resistenza contro l’indifferenza. La narrazione è punteggiata da un umorismo sottile, che stempera la malinconia senza mai cadere nel cinismo.

La scelta di un condominio come ambientazione principale non è casuale: rappresenta un microcosmo dove vite diverse si sfiorano senza mai veramente toccarsi, un’immagine potente di una società in cui la vicinanza fisica non si traduce automaticamente in connessione emotiva. In questo senso, “Il condominio dei cuori infranti” è anche una riflessione sulla fragilità dei rapporti umani e sull’importanza della gentilezza come atto di ribellione contro l’alienazione.

Il film ci ricorda che, anche nelle situazioni più disperate, c’è sempre spazio per l’inaspettato, per l’incontro che può cambiare una vita. La forza del cinema di Benchetrit sta nella sua capacità di mostrare questa possibilità, di rivelare la bellezza nascosta nel quotidiano, di farci vedere l’umanità dietro le facciate anonime di un condominio qualunque.

In un’epoca in cui il cinema spesso si perde in grandiose narrazioni, “Il condominio dei cuori infranti” riscopre il valore del piccolo, dell’intimo, dell’irrilevante che si fa rilevante. È un film che ci invita a guardare più da vicino, a riscoprire la poesia nelle pieghe del reale. Un’opera, dunque, che merita di essere vista, non solo per la sua delicatezza narrativa, ma per la sua capacità di parlare al cuore dello spettatore con una voce pacata e sincera.