“Your Sister’s Sister” di Lynn Shelton

(USA, 2011)

Ci sono film che riescono a toccare corde profonde con una delicatezza disarmante, e “Your Sister’s Sister” di Lynn Shelton (1965-2020) è uno di questi. Questo gioiellino indipendente, infatti, dimostra come la semplicità possa essere il veicolo ideale per esplorare le complessità delle relazioni umane, attraverso una narrazione intima e autentica.

La storia ruota attorno a Jack (Mark Duplass), un uomo ancora devastato dalla recente morte del fratello. La sua migliore amica, Iris (Emily Blunt), lo convince a prendersi una pausa dalla vita quotidiana, invitandolo a trascorrere qualche giorno di isolamento nella casa di famiglia su un’isola del Pacifico nord-occidentale. Quello che dovrebbe essere un rifugio tranquillo si trasforma in qualcosa di molto diverso quando Jack scopre che la casa è già occupata dalla sorella di Iris, Hannah (Rosemarie DeWitt), che si sta riprendendo dalla fine di una lunga relazione.

L’incontro tra Jack e Hannah dà il via a una serie di eventi imprevedibili che coinvolgono segreti, rivelazioni e dinamiche familiari complesse. Il film si snoda tra momenti di intenso dramma e situazioni di sottile umorismo, mantenendo sempre una tonalità sincera e profondamente umana. Shelton, che ha anche scritto la sceneggiatura, riesce a creare personaggi incredibilmente realistici, con dialoghi che sembrano emergere spontaneamente, come conversazioni reali tra persone che conosciamo da sempre.

Uno degli aspetti più affascinanti di “Your Sister’s Sister” è la sua capacità di esplorare le sfumature dell’intimità e del legame fraterno. La relazione tra Iris e Hannah è centrale al film, e l’alchimia tra Emily Blunt e Rosemarie DeWitt è palpabile, rendendo credibile ogni interazione. La loro dinamica è complicata, a tratti conflittuale, ma sempre intrisa di un profondo affetto, che risuona con una verità universale.

Mark Duplass, con la sua interpretazione naturale e non forzata, incarna perfettamente l’antieroe moderno: imperfetto, vulnerabile e, in fin dei conti, straordinariamente umano. Jack è un personaggio con cui è facile identificarsi, qualcuno che lotta con il dolore e la confusione, ma che trova anche momenti di leggerezza e conforto nelle connessioni che stabilisce.

La regia di Shelton è discreta, quasi invisibile, lasciando che siano i personaggi e la storia a guidare l’esperienza dello spettatore. Il film è stato girato con un budget modesto e con un approccio quasi documentaristico, il che contribuisce a creare un’atmosfera intima e immediata. I paesaggi dell’isola, fotografati con una luce naturale, aggiungono un ulteriore strato di bellezza e isolamento, rispecchiando lo stato d’animo dei personaggi.

“Your Sister’s Sister” è un film che non ha bisogno di grandi colpi di scena o di effetti speciali per catturare l’attenzione. È una storia semplice ma profondamente risonante, che parla di dolore, amore, e del complicato groviglio di emozioni che spesso accompagna le nostre relazioni più strette. È un’opera che lascia spazio alla riflessione e che invita lo spettatore a confrontarsi con le proprie esperienze e i propri sentimenti.

In un’epoca in cui il cinema sembra spesso puntare su spettacoli grandiosi e trame complesse, “Your Sister’s Sister” ci ricorda che la forza di un film può risiedere nella sua semplicità e nella sua capacità di raccontare storie che toccano il cuore. Lynn Shelton, con la sua sensibilità unica, ha creato una pellicola che rimane impressa nella memoria, offrendo un’esperienza cinematografica tanto intima quanto universale. Una volta, anche la nostra cinematografia, era capace di sfornare pietre preziose a basso costo come questa.

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“Sunshine Cleaning” di Christine Jeffs

(USA, 2008)

L’eredità che i genitori lasciano ai proprio figli molto spesso incide in maniera determinante nella loro vita. Questo vale per le cose materiali ma, soprattutto, per quelle immateriali che riguardano la sfera sentimentale ed emotiva.

E l’eredità di un genitore può essere trasmessa ai figli anche prima di morire. Come nel caso di Rose (una bravissima Amy Adams) e sua sorella minore Norah (Emily Blunt) nate e cresciute ad Albuquerque da Joe (un sempre grande Alan Arkin) alla ricerca perenne dell’affare del secolo, e dalla loro madre che però, quando erano ancora due bambine, si è tolta la vita.

Se Rose al liceo era la stella delle cheerleader nonché fidanzata col quoterback della squadra di football, una volta preso il diploma la sua vita ha iniziato inesorabilmente a franare. Madre single di Oscar, sbarca il lunario facendo le pulizie per una ditta locale e non riesce a smettere di essere l’amante di Mac (Steve Zahn), il suo fidanzatino del liceo che ora fa il poliziotto, che però è felicemente sposato con un’altra donna.

Anche sua sorella Norah non riesce a mantenere un lavoro per più di una settimana, come non riesce ad avere una relazione stabile e soddisfacente. Proprio durante uno dei settimanali incontri clandestini con Mac, a Rose viene l’idea di creare una società per la pulizia dei luoghi scene di un crimine o di una morte violenta, nicchia di mercato assai redditizia e poco sfruttata.

Ma Rose, assieme a Norah che suo malgrado l’aiuta, scoprirà che si tratta di un lavoro molto duro e faticoso, che comprende anche il ripulire le case di persone morte suicide o da molto tempo prima che qualcuno le abbia ritrovate.

Grazie anche a Winston (Clifton Collins Jr.), il commesso dell’emporio che vende i prodotti professionali per le pulizie, Rose inizia per la prima volta, dopo tanto tempo, ad avere fiducia in se stessa, ma…

Non si possono scegliere i propri genitori, ma si può scegliere di prendere distacco da loro, soprattutto dalle loro scelte più funeste o egoiste.

Scritto da Megan Holley, questo “Sunshine Cleaning” – il cui titolo richiama forse alla pulizia del proprio essere dalle tossine che qualcun altro vi ha lasciato… – ci ricorda quanto possa essere delizioso il cinema indipendente americano.