“L’Outremangeur” di Thierry Binisti

(Francia, 2003)

Tratto dall’omonimo graphic novel che i francesi Tonino Benacquista e Jacques Ferrandez hanno pubblicato nel 1998 – e che dai noi è stato tradotto “Il mangione” – questo singolare film, centrato sul genere noir, in realtà ne sfiora anche altri, risultando alla fine assai originale e allo stesso tempo molto difficile da classificare, a partire dall’attore che incarna – è proprio il caso di dirlo… – il suo protagonista: l’ex calciatore di fama internazionale Eric Cantona.

In una splendida, ma al tempo stesso scontrosa – come lo sono magicamente tutte le località di mare – cittadina della costa atlantica francese, vive il commissario Richard Séléna (un tenebroso Cantona). Nonostante il suo acume e il suo coraggio, quello che tutti subito notano del poliziotto è senza dubbio il suo peso, che supera i 160 chili.

Anche per questo Séléna è un uomo solitario, e vive da solo nella sua grande casa a strapiombo sul mare. Da oltre venticinque anni poi, il commissario, mangia in assoluta solitudine sia in casa, dove ama cucinarsi prelibati manicaretti, che al ristorante, dove trincera il suo tavolo colmo di pietanza categoricamente dietro un separè.      

L’incolmabile vuoto che cerca inutilmente di riempire col cibo parte da un duro trauma che ha subito da bambino, ma che non ha la minima intenzione di affrontare, neanche quando, dopo l’ennesimo problema di salute, il medico non gli dà al massimo 12 mesi di vita.

Le cose cambieranno quando dovrà indagare sull’omicidio del ricco armatore Lachaume, trovato senza vita nell’appartamento sopra i suoi uffici. La principale sospetta è Elsa (Rachida Brakni, compagna nella vita di Cantona) figlia di Émile (Richard Bohringer) fratello del morto, ragazza che il commissario comprende essere stata l’amante dell’armatore.

Invece di consegnare al giudice istruttore le prove per inchiodarla, decide di ricattarla: se non vuole finire in prigione Elsa dovrà passare tutte le sere dei successivi 12 mesi a casa Séléna per cenare al tavolo davanti al commissario.

Furiosa, sdegnata e all’inizio anche schifata la giovane è costretta ad accettare, ma…

Originalissima pellicola che tratta di un argomento molto complicato e non semplice – ma certo non impossibile – da trattare. Il mondo anglosassone, come mi è già capitato di ricordare, è anni luce davanti a noi italiani nel trattare e raccontare la disabilità fisica o mentale che sia, e questo film ci sottolinea che anche i nostri cugini d’oltralpe sono molto più avanti di noi.

Penso a pellicole come “Amore a prima svista” dei fratelli Farrelly – che ha toni certamente più leggeri anche se tanto graffianti – per quanto riguarda il cinema d’oltreoceano, o lo splendido “La mia vita da zucchina” di Claude Barras in relazione al cinema francese. Alla lista di film, forse più noti e blasonati, quindi, si deve aggiungere anche questo.